Pietro Sarcinella – Studio  Sant'Elmo Ginecologo Napoli
Indagini ginecologiche

Quando si accusa bruciore, irritazione, dolore pungente, secchezza, dolore durante i rapporti, talora dolore pulsante, prurito o per contatto o sfregamento o penetrazione vaginale o semplicemente i sintomi sono presenti  indipendentemente dalla stimolazione bisogna eseguire lo swab test.

 

E’ un test utilizzato per la diagnosi della vestibolite vulvare. questo test consiste nel praticare un leggero tocco in certi punti del vestibolo con la punta di un cotton fioc tale da suscitare dolore puntorio.

Definizione: Conosciuto anche come test del cotton fioc, o test di Friedrich, è un esame utilizzato per valutare la sensibilità del vestibolo vaginale, in genere attraverso l’uso di un cotton fioc, nelle pazienti con sospetta vestibolodinia o vulvodinia (vedi definizione vulvodinia) La pressione o lo sfioramento di determinati punti vestibolari evoca una reazione di dolore o fastidio esagerata rispetto all’entità dello stimolo.

 

Vestibolite vulvare e vulvodinia

 

Per riuscire a capire bene questa patologia è necessario avere un’idea chiara dell’anatomia genitale femminile. Distinguiamo innanzitutto la vulva dalla vagina. La vagina è l’organo che collega l’apparato genitale esterno con l’utero e parte dall’imene per arrivare all’utero; è quindi un organo completamente interno al nostro corpo. La vulva è la parte genitale esterna, che comprende grandi e piccole labbra, clitoride, orifizio uretrale, imene. Il vestibolo è il rivestimento della zona vulvare compresa tra le piccole labbra, cioè tutto quel tessuto rossastro e più delicato racchiuso dalle grandi labbra e che resta al di fuori della vagina.

 

Letteralmente il termine vestibolite vulvare indica l’infiammazione di questo tessuto rossastro esterno con conseguente dolore. Può essere localizzata e quindi coinvolgere solo il clitoride (clitoridodinia), l’ingresso vaginale, l’orifizio uretrale (uretrodinia), oppure generalizzata con dolore esteso a tutto il vestibolo vulvare.

 

La vestibolite vulvare (VV) è caratterizzata da 3 sintomi principali:

 

  • dispareunia (dolore ai rapporti sessuali) soprattutto all’inizio della penetrazione
  • tender points: punti circoscritti di dolore nel punto in cui si effettua la pressione
  • eritema vestibolare/vaginale (rossore con sensazione di “taglietti”).

 

Gli altri sintomi variabili in base al grado di vestibolite sono: vulvari (dolore al tatto, prurito, secchezza, bruciore, gonfiore, fastidio nell’indossare vestiti attillati o sintetici), urinari (urgenza minzionale, dolore uretrale, che peggiorano col rapporto sessuale), vaginali (secchezza vaginale, scarsa eccitazione, dolore alla visita ginecologica,fastidio all’inserimento di assorbenti interni). La donna che ne è affetta  sente dolore/bruciore/fastidio vulvare quando indossa pantaloni attillati, perizoma, indumenti sintetici, quando va in bicicletta, quando usa detergenti intimi, quando utilizza creme antimicotiche o antibiotiche, quando accavalla le gambe, quando sta seduta per molto tempo. L’urina acida o ricca di ossalati irrita l’uretra e la parte di vulva che questo liquido bagna.

 

Le cause possono essere infettive (candida, e. coli, herpes virus, clamidia, ureaplasma, hpv, gardnerella), meccaniche (da dispareunia, per esempio), chirurgiche (laser, diatermocoagulazione, episiotomie, cicatrici da chirurgica vulvo-vaginale, radioterapia), chimiche (detergenti irritanti, urine infette piene di tossine batteriche, creme e pomate locali, cibi contenenti sostanze irritanti, incontinenza ed enuresi che causano un continuo contatto del vestibolo con l’urina), ormonali (calo di estrogeni premestruale o menopausale), neurogeni (stress, alterazioni neurologiche), muscolari (ipertono del muscolo pubo-coccigeo da cistiti, vaginiti o patologie dolorose anali), traumatiche (cadute, urti violenti). Ma fondamentalmente la causa primaria è una risposta esagerata agli stimoli infiammatori su base genetica.

 

In che modo la cistite cronica porta a vestibolite vulvare? In che modo la vestibolite vulvare porta a cistite?

I continui antibiotici provocano disbiosi intestinale e vaginale e di conseguenza continue infezioni genitali soprattutto da candida ed escherichia coli. Il vestibolo vaginale infiammato attiva i mastociti, che come abbiamo più volte visto, liberano sostanze che aumentano il dolore e l’infiammazione stessa provocando gonfiore, dolore ed irritazione. Infiammazione e dolore provocano automaticamente la contrazione della muscolatura pubo-coccigea, già contratta a causa delle cistiti. Tale contrazione diventerà sempre più persistente fino a trasformarsi in contrattura (costante e difficile da sciogliere), che restringerà l’ingresso vaginale aumentando l’attrito durante il coito e rendendola più soggetta a piccole ulcere ed abrasioni. Lo scarso desiderio e la scarsa lubrificazione per la paura anticipatoria del dolore aumentano ulteriormente l’attrito durante il rapporto.

 

Nella VV è’ frequente la sovrapposizione di infezioni vulvari, vaginali ed uretrali. Il vestibolo sempre più infiammato perde la capacità di difendersi ed anche una banale carica batterica o micotica è in grado di sviluppare infezione. Pertanto la candidosi e altre infezioni vulvari, oltre che una causa, rappresentano una conseguenza della VV. L’accanimento contro i microrganismi patogeni senza risolvere la VV non solo è inutile, ma porta ad un peggioramento stesso della patologia a causa dell’effetto irritante di antibiotici ed antimicotici locali ed all’effetto immunodepressivo e disbiotico di quelli sistemici. Se non si cura l’infiammazione vestibolare, l’infezione da candida o da e. coli torneranno sempre e queste a loro volta rappresenteranno la base per nuove infezioni vescicali. La maggioranza delle donne affette da vulvodinia hanno una storia di cistiti e vaginiti ricorrenti precedente. La VV è infatti spesso associata a patologie quali: cistite ricorrente, cistite interstiziale, fibromialgia, dolori lombari.

 

L’infiammazione e la contrazione si possono estendere fino all’orifizio uretrale, che a sua volta sarà più debole verso gli attacchi batterici e responsabile di ristagno urinario. A questo punto il rischio di sviluppare cistite aumenta ulteriormente. Ed ecco l’instaurarsi del classico circolo vizioso, che se non viene interrotto porta a cronicizzazione ed al peggioramento costante della sintomatologia di tutti gli organi coinvolti.

 

La sintomatologia tende ad aumentare nel periodo premestruale e a diminuire durante la notte.

 

La VV è molto frequente: il 12/15% delle donne ne soffre, ma nonostante la sua frequenza sono ancora pochi i medici che la conoscono. Ciò porta la donna a sentirsi non capita ed a sottoporsi ad innumerevoli visite prima di arrivare ad una diagnosi. Il protrarsi della sintomatologia non curata peggiora il quadro sintomatologico, diventando cronico e rendendo la guarigione più difficile e la terapia più lunga e complessa.

 

 

TERAPIA

La terapia, una volta effettuata la diagnosi, esiste. Rivolgersi allo specialista giusto. Molte volte è solo la sua esperienza a risolvere il problema!

 

“Articolo scritto da Rosanna Piancone link

t7ngp8h8Lo studio del canale cervicale ha un ruolo importante nell’ambito della prevenzione dei tumori del collo dell’utero; la colposcopia può valutare lesioni confinate perlopiù all’esocervice, mentre con lo speculum endocervicale si può esaminare solo la porzione inferiore del canalecervicale, ma è evidente che lesioni estese, o situate più in alto possono sfuggire.

Quindi una valutazione dell’endocervice si rende indispensabile nei casi in cui la giunzione squamocolonnare risale nel collo dell’utero, evento quest’ultimo tutt’altro che raro, come confermato da alcune ricerche ove si evidenzia che tale fenomeno può interessare anche il 20% delle donne in età fertile , per non parlare, peraltro, delle donne in postmenopausa. Vi è,poi, la problematica legata all’adenocarcinoma in situ dell’endocervice uterina la cui frequenza è praticamente raddoppiata negli ultimi decenni 2,3:è possibileche questo fenomeno sia anche dovuto al più largo impiego dei contraccettivi orali, che avrebbero un certo ruolo nello sviluppo di questa neoplasia, che,secondo alcuni studi, raddoppia la sua frequenza dopo circa 5 anni di assunzione dei contraccettivi orali e la quadruplica dopo circa 10 anni; inoltre alcune osservazioni suggeriscono, per questo tipo di tumore, la possibilità di una sua rapida progressione essendo stati osservati piccoli carcinomi invasivi in assenza, o non evidenza, di adenocarcinomi in situ; l’invasione avviene, di solito, a livello della giunzione squamocolonnare, va però segnalato che la sua variante endometrioide pur avendo la stessa istogenesi può originare in un punto più alto del canale cervicale e pertanto può sfuggire ad un esame colposcopico; è, quindi, una patologia di difficile inquadramento e c’è chi propone, per una diagnosi precisa, la conizzazione del collo dell’utero, con un numero adeguato di sezioni istologiche sul materiale prelevato ; l’alternativa è rappresentata da un accurato studio dell’endocollo.Un altro aspetto importante, legato alla patologia del canale cervicale, è rappresentato dal riscontro di cellule AGUS al Pap-test e alla loro origine da lesionisituate nell’endocervice, ma anche a livello dell’endometrio e della cervice uterina; a tale proposito da più parti si è suggerito di integrare la colposcopia con eventuale biopsia mirata anche con un curettage del canale cervicale (ECC), soprattutto nel caso si tratti didonne anziane; alcuni autori suggeriscono che la presenza di cellule AGUS vada considerata come un marcatore di importanti neoplasie ginecologiche.

É stato segnalato che nei successivi follow-up cui vengono sottoposte le pazienti che presentano positività per queste cellule, vengono rilevate, con tassi percentuali significativi, lesioni clinicamente rilevanti, rappresentate essenzialmente da adenocarcinomi endometriali e da H-SIL . In una percentuale abbastanza elevata didonne che presentano cellule AGUS al Pap-test si possono riscontrare lesioni di tipo displasico o neoplastico a carico dell’epitelio squamoso o ghiandolare dell’esocervice, dell’endocervice, dell’endometrio e si raccomanda, all’uopo, come corretta pratica clinica, di valutare queste pazienti con colposcopia e ECC.
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Già negli anni ottanta veniva segnalata l’eventualità che anche di fronte ad un esame colposcopico definito come soddisfacente vi era la possibilità di rilevare con l’ECC una displasia del canale cervicale e, per tali motivi, anche in lavori molto recenti lo si considera un utile esame complementare ; a conforto di taletesi vi sono studi che sostengono che l’ECC può avere un impatto notevole sulla diagnosi, e condizionerebbe il susseguente atteggiamento terapeutico, in una percentuale significativa di pazienti sottoposte a colposcopia per citologia anormale e/o SIL di alto o basso grado e andrebbe valutata, pertanto, in questi casi, la sua utilità in associazione ad un esame colposcopico di routine.

Lo studio del canale cervicale è utile anche nella valutazione dei carcinomi del corpo dell’utero; a tale proposito, in un lavoro giapponese, su una serie di 60 casi di cancro del corpo dell’utero si riscontrava che ben 18 pazienti (30% circa) avevano un coinvolgimento del canale cervicale; appare ovvio che un rilevo di questo tipo può modificare l’approccio terapeutico. Quindi appare chiaro che lo studio del canale cervicale è importante e questo spiega la frequente raccomandazione di studiare il canale cervicale con un curettage, oppure in alternativa con un brushing del canale che, secondo alcuni può essere ritenuto un’alternativa accettabile, ma pur sempre considerando l’ECC come metodo di prima scelta.

Il canale cervicale può essere studiato con la microcolpoisteroscopia, che risulta particolarmente utile nei casi di colposcopia insoddisfacente o che abbiano dato esito ad un ECC positivo; questa tecnica,però, non ha mai conosciuto una buona diffusione sia per la sua difficoltà di esecuzione sia perché richiede da parte dell’operatore un lungo training in campocitopatologico.

Riteniamo, sulla base della nostra esperienza, che, in alternativa, il canale cervicale possa essere studiato adeguatamente con l’endocervicoscopia, una nuova tecnica che può essere definita come una colposcopia dell’endocollo; infatti essa adotta i criteri diagnostici colposcopici, mentre richiede, per la sua esecuzione,lo strumentario dell’isteroscopia. É possibile una valutazione dell’esocervice, prima, e dell’endocervice, poi, fino all’istmo, completando infine l’indagine con l’esame della cavità uterina (isteroscopia); il tutto avviene nella stessa seduta e nel giro di pochi minuti. Come mezzo di contrasto, per evidenziare le eventuali lesioni tessutali, viene utilizzato l’acido acetico al 5%; in questo modo si ottengono quadri endocervicoscopici che sono del tutto sovrapponibili a quelli colposcopici. Si possono effettuare diagnosi accurate, anche con l’ausilio di biopsie guidate, per quasi tutte le patologie del canale cervicale.

E’ un sistema di indagine diagnostica medica che non utilizza radiazioni ionizzanti, ma ultrasuoni e si basa sul principio dell’emissione di eco e della trasmissione delle onde ultrasonore. Questa tecnica è utilizzata routinariamente in ambito internistico, chirurgico e radiologico. Oggi infatti tale metodica viene considerata come esame di base o di filtro rispetto a tecniche di Imaging più complesse come TAC, imaging a risonanza magnetica, angiografia. L’ecografia è, in ogni caso, operatore-dipendente, poiché vengono richieste particolari doti di manualità e spirito di osservazione, oltre a cultura dell’immagine ed esperienza clinica.

Questo sito vuole fare il punto su alcune tecniche importanti per la prevenzione dei tumori del collo dell’utero e in particolare focalizzare l’attenzione sulla microcolposcopia.

 

La microcolposcopia è una tecnica che, avvalendosi di un particolare apparato ottico, il microcolpoisteroscopio di Hamou, permette di vedere le cellule anomale direttamente sul collo dell’utero e nel canale cervicale.

 

L’apparecchio è in pratica un endoscopio rigido di 4 mm. lungo 25 cm. con un angolo di campo di ben 90° con possibilità di visione sia panoramica, sia a diretto contatto con il tessuto, permette un ingrandimento da 1 a 150 volte. Quindi si ha una visione che va da quella di un normale colposcopio a quella di un microscopio ottico.

 

La microcolposcopia va effettuata quando dal Pap test e dalla colposcopia non si riesca a definire bene una lesione e quando si sospetti la presenza di cellule anomale all’interno del canale cervicale. Questa tecnica permette di descrivere le caratteristiche citologiche delle cellule, i margini e le dimensioni delle lesioni tracciando una vera e propria mappa topografica del tessuto anomalo. Dal punto di vista chirurgico si ha la possibilità di effettuare un trattamento più corretto e meno invasivo.

 

È il più prezioso mezzo di completamento del pap test. In pratica mentre quest’ultimo permette la valutazione delle cellule nel loro aspetto microscopico, la microfotocolposcopia, permette una valutazione del collo dell’utero nel suo insieme, Permette di vedere se le lesioni sono estese, se profonde, di che tipo sono, di sapere come intervenire, se è il caso di farlo, e di operare in maniera mirata. È facile da effettuare.
Simile come metodica al pap test, è indolore.

microfotocolposcopia

microfotocolposcopia

eco vescicaleUtilizza una sonda a media frequenza (3.5 MHz) che, posta a contatto della regione pelvica, in posizione supina, esplora la vescica e l’utero (nella donna) o la prostata (nell’uomo). L’esame necessita, per essere eseguito esclusivamente che il paziente venga a vescica piena (per riempire la vescica occorre: urinare 3 ore prima dell’esame e bere un litro d’acqua un’ora prima). Attenzione!! Se il paziente è un grave cardiopatico o è molto anziano deve bere, lentamente, solo mezzo litro. Non è fastidioso, ove si eccettui il riempimento della vescica. Si esegue inoltre un controllo dopo lo svuotamento della vescica. Il tempo necessario all’esecuzione dell’esame con tale tecnica dipende dalla problematica che si riscontra, può durare da un minimo di 10 minuti a mezz’ora.

Perché la si fa e quali informazioni fornisce

Serve per dimostrare con grande accuratezza e precisione la presenza di una patologia della vescica. In particolare tale metodica permette di individuare la presenza di calcoli, diverticoli, neoplasie (tumori, polipi e papillomi). Serve inoltre per la valutazione volumetrica e grossolana della prostata.

In quale misura questo esame dipende dall’esperienza e dalle capacità dell’operatore?
In misura totale. L’esame deve essere affidato esclusivamente ad un operatore molto esperto. Solitamente un medico internista o un radiologo che abbia seguito un training specifico. Si richiede un operatore profondamente avvezzo a riconoscere le immagini ecografiche. La sua capacità nell’interpretare le immagini, rappresenta l’elemento fondamentale che fa di tale metodica uno strumento diagnostico di formidabile capacità. E’ inoltre richiesta una profonda conoscenza della fisiopatologia e sulla storia naturale delle affezioni di tale organo.

La vulvoscopia consiste In un rilievo strumentale  dei genitali esterni. Tale ispezione è parte integrante dell’esame colposcopico e ne condivide indicazioni ed utilità

vulvoscopia

Si tratta di una colposcopia dei genitali esterni e del perineo. Le lesioni svelabili con l’esame vulvoscopico sono numerose: lesioni infettive, flogistiche, degenerative cutanee, lesioni preneoplastiche e neoplastiche.

La descrizione dei quadri vulvoscopici presuppone l’utilizzo di una terminologia più ricca e descrittiva. A tal fine al pari della scheda colposcopica per la descrizione delle lesioni vulvari si utilizza una scheda dedicata. La scheda vulvoscopica nasce dalla elaborazione di queste classificazioni con una descrizione più particolareggiata dei quadri osservabili. Mentre a livello cervicale il clinico ha a disposizione il pap test per meglio definire le lesioni cervicali, a livello vulvare la citologia non è di grande aiuto, per cui di fronte ad una alterazione morfologica si ricorrerà all’esame bioptico mirato, meglio se multiplo. Il prelievo bioptico, previa anestesia locale,può essere effettuato con appositi punch (Keye’s punch) di diversa misura, con le stesse pinze per biopsia cervicale,con ansa diatermica, o con il bisturi.

Vulvodinia

Un capitolo importante della patologia vulvare è rappresentato dal capitolo delle VULVODINIE,termine di derivazione greca che significa dolore vulvare

Patologie non identificabili con le vulvodinie

  • Vulvovaginite infettive (Candida, Trichomonas V., Herpes simplex, Herpes zooster, Batteri vari patogeni)
  • Vaginosi batteriche (Gardnerella, Anaerobi)
  • Vaginosi citolitiche (Doderlain in eccesso)
  • Lattobacillosi (Lattobacilli anaerobici non produttori di H2O2)
  • Impetigo
  • Vaginite infiammatoria desquamativa (Streptococco?, Tossine batteriche?,Disordini immunitari topici con colpite simile a quella da T.V.)
  • Condilomatosi (Papillomavirus)
  • Mollusco contagioso (Poxvirus)
  • Dermatiti da contatto acute e croniche (Sostanze varie)
  • Atrofia (Carenza estrogenica)
  • Fissurazioni traumatiche alla forchetta ed eritemi postcoitali (Trauma da coito con ipolubrificazione)
  • Psoriasi
  • Dermatite seborroica
  • Lichen simplex chronicus
  • Lichen planus
  • Lichen sclerosus
  • Iperplasia a cellule squamose
  • VIN e Neoplasie invasive
  • Malattie sistemiche con localizzazione vulvare (Malattia di Bechet, Sindrome di Reiter, Lupus ecc.)
  • VIN (Vulvar Intraepithelian Lesion)

Con questo termine si suole indicare una condizione di disconfort vulvare ad eziologia incerta, in cui sono rappresentati con varia intensità e spesso coesistenza i seguenti sintomi che interessano i genitali esterni femminili: bruciore, sensazione di irritazione,di disepitelizzazione,di secchezza vulvare, sensazione puntoria, pulsatoria, di tensione,stiramento e dolore. Questi sintomi possono essere condensati in un altro termine utilizzato dagli anglosassoni per tale patologia: DISESTESIA (vulvar dysesthesia), dove per disestesia si intende una alterata percezione degli stimoli esterni che in questo caso sono amplificati e generano una condizione di esasperata ipersensibilità. Si parla di vulvodinie quando questo corteo sintomatologico non è riconducibile a precise cause microbiologiche o ad altre note e ben inquadrabili patologie. In conclusione non si possono inquadrare come vulvodinia specifiche vulvovaginiti, o patologie come lichen e dermatosi note, anche se molti dei suddetti sintomi possono essere presenti. Spesso molte di queste patologie sono associate alla vulvodinia; per esempio le vulvovaginiti cicliche, inquadrate, in precedenza, come un particolare tipo di vulvodinia, sembrano avere un’ associazione con le candidosi. Questa associazione consiste nel fatto che la sintomatologia che inizia in occasione di vulvovaginiti recidivanti di candida, poi permane anche in assenza del micete. Si ipotizza che la condizione di flogosi ripetuta possa innescare un perpetuarsi della sintomatologia anche in assenza del patogeno. Tale teoria è coniugabile anche con altre noxe patogene sia infettive che di diversa natura. Si è anche ipotizzato che le terapie ripetute possano essere corresponsabili dell’origine delle vulvodinie. Questo è l’inquadramento dell’International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD) proposto nel congresso mondiale del 1999 a Santa Fe in New Mexico e riconfermata al congresso mondiale in Portogallo del 2001. Sempre secondo l’ISSVD la vulvodinia riconosce due forme: la VESTIBULITE VULVARE (vulvar vestibulitis) e la VULVODINIA ESSENZIALE (dysesthetic vulvodynia). ( In precedenza la forma di vulvodinia definita vulvovaginite ciclica, sopra menzionata,costituiva una classe a se stante. Questa forma comune di vulvodinia interessa il vestibo e si manifesta ciclicamente e più spesso durante la fase luteale in cui sembrerebbe più facile una reazione di ipersensibilità agli antigeni di Candida). La VESTIBULITE VULVARE è meglio definita con una condizione di dolore vulvare, elettivamente localizzato a livello vestibolare e che insorge dopo che tale area e sottoposta a stimoli. Il vestibolo vulvare è l’area compresa fra l’anello imenale internamente e la linea di Hart esternamente (giunzione squamomucosa), mentre superiormente è delimitata dal clitoride ed inferiormente dalla cute perineale della forchetta o fossa navicolare; in questa area hanno sbocco le ghiandole maggiori di Bartolino e di Skene e le ghiandole minori accessorie.

Fu Friedrich che nel 1987 evidenziò i criteri che caratterizzano ed identificano tale patologia:

1) Dolore acuto nella zona vestibolare conseguente a stimoli tattili o conseguente alla penetrazione vaginale (coito o tamponi);

2) Ipersensibilità alla pressione nella zona vestibolare ed accentuata maggiormente in punti particolari come gli sbocchi delle ghiandole del Bartolino e di Skene, la forchetta e clitoride;

3) Presenza di aree di eritema vestibolare diffuso, o localizzato in piccole aree (vestibulite focale) come unico, ma non sempre presente, segno di alterazione clinica alla ispezione.

Nella vestibulite il sintomo principale è il dolore conseguente alla penetrazione (dispareunia) o alla inserzione di tamponi, ma i fastidi sono conseguenti anche all’uso di bicicletta, moto, dopo jogging o,nei casi più gravi alla semplice deambulazione. Spesso dopo rapporti sessuali si manifestano fastidi urinari come disuria e bruciore (uretrite postcoitale) senza che vi siano segni di laboratorio deponenti per infezione urinaria. Nella vestibulite sono rare il prurito e le lesioni da grattamento essendo il dolore il sintomo principale che non permette il grattamento. Il test che si effettua per la diagnosi è lo swab test che consiste nel pressare con la punta di un cotton fioc specifici punti del vestibolo, azione che in caso di vestibulite provoca una netta sensazione algica. La sua insorgenza può conseguire ai primi rapporti sessuali (vestibulite primaria) o successivamente al cambio di partner, terapie fisiche vulvari, parti vaginali, e pregresse vulvovaginiti ricorrenti da candida (vestibulite secondaria). La localizzazione può interessare il vestibolo, in toto od in parte o elettivamente il clitoride (clitoridodinia) o la forchetta. I sintomi possono persistere per mesi o anni per poi scomparire spontaneamente o dopo terapia. La lidocaina, un anestetico, mitiga la sintomatologia nelle vestibuliti ma non nelle vulvodinie essenziali. La VULVODINIA ESSENZIALE è una condizione di iperestesia o esagerata sensibilità che interessa diffusamente tutta la vulva interessando spesso la cute perineale ed accompagnandosi a disturbi rettali ed uretrali. La sensazione di bruciore, prurito, pizzicore e meno frequentemente dolore, non è indotta e ben delimitata come nella vestibulite, ma è spontanea, sorda, continua con piccole remissioni (“spontaneous vulvar dysesthesia”). Il prurito, cui seguono lesioni da grattamento,ha spesso un inizio repentino il più delle volte non riferibile a precisi input. I sintomi sono paragonabili a quelli di una nevrite posterpetica o ad interessamento del nervo pudendo (pudendal neuralgia). Le pazienti interessate sono spesso in perimenopausa o menopausa, mentre nelle sindromi vestibolari l’età è generalmente inferiore. L’esame clinico non evidenzia alcuna lesione. I fastidi coitali non sono riferiti preminenti come nella vestibulite, e spesso vi è una diminuzione della libido.

Le vulvodinie frequentemente si accompagnano a disturbi psicologici, limitazione delle attività quotidiane, e disfunzioni sessuali con la necessità della sospensione dei rapporti sessuali e conseguenti ripercussioni nella relazione con il partner. L’assenza di segni obiettivi eclatanti e la eziologia sconosciuta non ha giovato a dare alle vulvodinie l’attenzione meritata, confinandola spesso ad una esclusiva malattia psicosomatca. Bisogna ricordare che la segnalazione di tali sindromi risale già nel 1880, quando Thomas IG in un lavoro sulle malattie femminili descrisse questa condizione di “ipersensibilità vulvare”, e successivamente considerata da altri clinici come Skene AJC nel 1889 e da Kelly HA nel 1928. Successivamente,dopo molti anni di oblio, in considerazione della crescente attenzione ed interesse, la ISSVD costituì un gruppo di studio che dal 1985 si occupa di vulvodinie. Pur rimanendo incerta una precisa eziologia, numerosi dati correlano le vulvodinie a diverse condizioni: 1) spesso conseguono a vulvovaginiti da candida recidivanti, anche se la ricerca del micete è negativa o con una carica tale da non giustificare la sintomatologia e senza i segni clinici classici della vaginite micotica. Si è ipotizzato che i fastidi siano riconducibili ad una ipereattività dell’organismo ad antigeni della candida, o che questa dia l’input ad una particolare reazione immunologica. Si creerebbe così una condizione simile alle infezioni da streptococco dove si innesca una reazione immunologica – autoimmunitaria tipica della malattia reumatica; 2) fattori genetici e razziali. Da studi epidemiologici le bianche caucasiche sono quelle più coinvolte nelle vulvodinie. L’età è compresa fra 20 e 60 anni e il livello socioeconomico è medio – alto.; 3) disordini immunitari; 4) neuropatie. Si è osservato che le terminazioni nervose sensitive, più rappresentate nella regione imenale, sono libere e non capsulate o amieliniche e pertanto maggiormente recettive; inoltre attorno a tali terminazioni sensitive coesiste una ipervascolarizzazione. Queste sono osservazioni che potrebbero giustificare la presenza di eritema (su base vasomotoria neurogena) spesso focale nelle vestibuliti e la iperestesia nella vulvodinia essenziale. Ricordiamo che nella innervazione della vulva sono coinvolti il nervo pudendo, l’ ileoinguinale ed i rami genitali del genitofemorale. A tal proposito alcuni autori ipotizzano che la iperestesia potrebbe essere causata anche da traumi sui plessi nervosi,conseguenti al parto o successiva a manovre chirurgiche ; 5) sostanze chimiche come farmaci ed eccipienti, additivi chimici, deodoranti, saponi, coloranti tessili ecc. possono essere causa di vulvodinie fungendo da irritanti o allergeni; 6) associazione con la cistite interstiziale (anch’essa ad etiologia incerta). In considerazione della comune embriogenesi del vestibolo dell’uretra e parte della vescica (entoderma) e della frequente associazione vulvodinia – cistite interstiziale si è ipotizzato uno stretto legame fra le due condizioni. Sembrerebbe che l’ossalato di calcio urinario, in eccesso, irriti la mucosa vescicale ed il vestibolo; 7) HPV. In considerazione che negli anni 80′ l’HPV era stato considerato come una possibile causa di vulvodinie e che in quegli anni si creò grande allarmismo nei confronti di quella entità, tardivamente riconosciuta come fisiologica e rappresentata dalle papille dell’introito vaginale, si diede vita ad uno “sterminio” di queste papille con diatermocoagulazioni e trattamenti laser CO2. La conseguenza di questi trattamenti fu quella di aggravare la sintomatologia delle vulvodinie, e ancor peggio instaurare ex novo tale sintomatologia, dove questa non era presente ( forse questa forma di vulvodinia iatrogena è ,per assurdo, l’unica di cui ne intuiamo una causa certa !!). Si menziona il papillomavirus solo per sottolineare che i dati di letteratura anche se scarni, non sono a favore della eziologia virale della vulvodinia, sia perchè non si tratta di un virus neurotropo, sia perchè il riscontro dell’HPV-DNA è irrilevante nella cute e mucose di pazienti affette da vulvodinia; 8) HSV. L’Herpes di tipo 1 e 2 , ma ancor più lo Zooster sono certamente neurotropi e pertanto possono determinare una neuropatia responsabile della vulvodinia; 9) Ormoni. Di frequente vi è un ritmo cronologico costante nella sintomatologia, per cui si invoca l’influenza ormonale nel suo determinismo. La cronobiologia,una branca della medicina che si occupa dei ritmi biologici dell’organismo (ritmi circadiani, mensili, annuali ecc.) potrebbe avere, a mio avviso un ruolo importante nella ricerca scientifica riguardo le vulvodinie. Si spera che la ricerca scientifica dia delle risposte che permettano un inquadramento più preciso di tale sindrome che interessa un numero sempre maggiore di donne.

L’isteroscopia è una tecnica che permette di “vedere” all’interno della cavità uterina, attraverso uno strumento chiamato isteroscopio. Questo è un tubo rigido e sottile dotato di fibre ottiche, attraverso le quali viaggia la luce, che viene introdotto all’interno dell’utero, attraverso la vagina. È possibile l’esecuzione di interventi chirurgici, utilizzando strumenti miniaturizzati, connessi all’isteroscopio.

 

Quando è indicata

L’isteroscopia diagnostica è indicata soprattutto in due casi: sanguinamento uterino anormale, soprattutto nel periodo perimenopausale, per evidenziarne la causa come iperplasia endometriale, polipo endometriale (vedi immagine a lato), mioma sottomucoso o carcinoma endometriale; infertilità, per la ricercarne la causa come aderenze intrauterine o malformazioni uterine.
L’isteroscopia presenta vantaggi indiscutibili, primo la visione diretta dell’interno della cavità uterina.

 

Quella operativa, inoltre, consente i seguenti vantaggi: non richiede l’apertura dell’addome e dell’utero, evento che riduce il trauma sugli organi pelvici e non lascia cicatrici interne o esterne; si riduce di conseguenza anche il rischio di infezioni dovute alla contaminazione con l’ambiente. Globalmente la ripresa delle normali attività lavorative e sociali è anticipata rispetto ai tempi richiesti dagli interventi chirurgici tradizionali.

 

Una biopsia dell’endometrio, in pratica un prelievo di una piccola parte di mucosa per l’esame istologico, è sempre indicata.

 

L’isteroscopia operatoria, invece, trova applicazione alla presenza di: aderenze intrauterine; malformazioni uterine, come il setto uterino; polipi endometriali; fibromi uterini sottomucosi; corpi estranei intrauterini, come la spirale il cui filamento sia risalito all’interno della cavità uterina; sanguinamenti uterini anomali resistenti alla terapia medica (in tal caso si esegue l’ablazione dell’endometrio).

 

isteroscopia

paptestLa diffusione del PAP TEST ha ridotto significativamente la mortalità per cancro cervicale.Oggi esistono nuove tecnologie per renderlo più efficace e sicuro come il Thin Prep (Pap Test su strato sottile).
II Thin Prep – Pap Test è l’unico metodo di citologia approvato dall’FDA statunitense come “significativamente più efficace rispetto al tradizionale pap striscio cervicale”. II test così concepito aumenta la sensibilità della diagnosi precoce; inoltre, dallo stesso campione, possono essere eseguiti ulteriori approfondimenti diagnostici, quali quelli per l’HPV, responsabile del 97% dei tumori del collo dell’utero.
Che cos’è l’HPV?
E’ un infezione virale molto comune con la quale la maggior parte delle donne viene a contatto in un certo momento della vita. Se le anomalie cellulari vengono rilevate precocemente il trattamento ha successo nel 100% dei casi. II test dell’HPV, proprio perchè è in grado di evidenziare il virus prima che si sia sviluppato un tumore, consente di identificare con grande anticipo i casi a rischio e garantisce una prevenzione ottimale.
II test è raccomandato in tutte le età .Inoltre, come ricordano le maggiori società scientifiche del settore, compresa la Società Italiana di Colposcopia (SICPCV), il test HPV è indicato per chiarire in particolare l’esito di un Pap-test DUBBIO.
Alcuni sottotipi di HPV hanno maggiori probabilità di causare il cancro cervicale; questi sottotipi possono essere determinati dal Thin Prep campione. La combinazione di Thin Prep e Dna Pap garantisce il 99,9% di correre un rischio quasi nullo di avere o di sviluppare un tumore del collo dell’utero. A differenza del Pap Test tradizionale, dove solo una parte delle cellule prelevate viene strisciata su vetrino, con il Thin Prep Pap Test tutti i tipi di cellule della cervice sono presenti in quantità adeguate, aumentando la qualità del vetrino.
Ricerche cliniche su migliaia di donne hanno dimostrato che il Thin Prep aumenta l’identificazione delle cellule precancerose.

Innanzitutto bisogna chiarire che nella vagina è presente una flora batterica fin dalla nascita. In condizioni normali il secreto vaginale è composto da cellule desquamate, trasudati, muco, leucociti, secreto delle ghiandole del  Bartolino e Skene, urea, proteine etc. Inoltre sono presenti microorganismi (lattobacilli, Staphylococcus epidermidis, enterococco ed altri). I  microorganismi patogeni che creano infezioni vaginali sono innumerevoli e molte volte è necessario un prelievo del secreto vaginale per fare una corretta diagnosi. Ricordo ,anche se può sembrare superfluo, che prima di dare una terapia, bisogna  fare una diagnosi. Molte volte è inutile assumere farmaci se non si sa con certezza cosa e chi bisogna combattere. E’ inutile usare ovuli, candelette e similari per tentare di eliminare un sintomo, come ad esempio prurito o bruciore vulvare, se prima non si è ricercata la causa. Talora si possono aggravare patologie utilizzando terapie non idonee. Da non dimenticare infine le vaginiti o vaginosi sessualmente trasmesse dove il ruolo del partner assume talvolta un’importanza determinante. Come si può dedurre, bastano qualche volta accertamenti semplici per non portare alla cronicizzazione delle patologie, il più delle volte, banali, anche se non bisogna dimenticare che purtroppo esistono vaginiti che necessitano di approfondimenti diagnostici che non si limitano al semplice tampone colturale.